martedì 26 luglio 2016
STORIA DI UN GAY OMOFOBO
Per definizione il termine "omofobia" significa in parole semplici: avversione/paura verso gli omosessuali.
La radice di questa fobia ha diverse motivazioni. Motivazioni legate soprattutto alla cultura che ci circonda. Per "cultura" non intendo lo sviluppo intellettuale del singolo individuo, ma un concetto più ampio che ha a che fare con la civilizzazione. Ed è quest'ultima a caratterizzare un popolo e le diverse realtà che lo rappresentano.
Fatta questa breve premessa, è importante sapere che il modo di vivere, l'ambiente in cui cresciamo e i diversi riferimenti che abbiamo sono la base della nostra visione del mondo. Molte volte questa visione tende ad essere unica: esiste solo il mio modo di vedere, e solo il mio è quello giusto.
Infatti l'omofobia non risparmia nessuno. Se è vero che secondo alcuni psicologi, l'omofobo è prima di tutto un omosessuale che non si accetta, è anche vero che molto spesso sono gli stessi omosessuali a macchiarsi di un linguaggio omofobo.
Per essere omofobi non bisogna perforza picchiare un ragazzo gay, insultarlo o perseguitarlo. Questa è la parte estrema dell'omofobia. L'omofobia si serve prima di tutto di un linguaggio: il linguaggio della discriminazione. Ed è questo linguaggio che alimenta un'azione discriminatoria.
L'OMOFOBIA TRA GLI OMOSESSUALI
Cresci in un contesto in cui ti dicono che l'uomo è il padrone di casa, segno di forza e virilità, e la donna è dolce, sottomessa, accudisce i figli e deve essere femminile?
Se sei gay e cresci in questo contesto, la tua visione dei ruoli di genere non sarà diversa. Per quanto vorrai nasconderti dietro il "siamo nel 2016", le tue frasi e i tuoi pensieri saranno sempre:
-Non esco con te perchè sei effeminato.
-Non esco con te perchè sei una passiva. A me piacciono gli uomini veri.
-Vabbe ma a lui si vede che è gay, a me no!
-Non mi piace chi ostenta troppo la sua omosessualità, io sono normale, non frequento, non sto in mezzo ai gay, ho amici etero.
- No scusami ma non mi va di farmi vedere con te, che deve dire la gente poi? Io qui ho una reputazione.
-Il Pride è una pagliacciata, vogliamo i diritti e poi andiamo in giro con i perizomi e i costumi! Ma un diritto si conquista con la giacca e la cravatta, non in costume a mostrare il fisico.
INSEGUIRE UN'IMMAGINE COMUNE.
Guardiamo i Social, un ragazzo che vuole piacere a qualcuno farebbe di tutto pur di piacere. E la prima cosa da fare è adeguarsi ai canoni estetici. Apre Facebook e vede foto di ragazzi scolpiti nel marmo, perfetti, sempre in giro, alla moda, pieni di amici. Si iscrive in palestra, diventa quello che agli altri piace e poi inizia a farsi gli amici giusti, perchè guai ad uscire con le checche. Il cambiamento fisico comporta un cambiamento nell'atteggiamento. Ho 50 kg di muscoli in più? Devo assolutamente rendermi sempre maschissimo!!
Però mi piacciono Beyoncé, Jennifer Lopez, Katy Perry, Rihanna.
Beh dai ma vado lo stesso ai loro concerti, basta che non mostro troppo di essere loro fan, altrimenti poi vengo deriso o visto come una passiva. Invece io sono attivo oh! Io voglio dominare. Non risultare isterica. Quindi pose maschili, sguardo da toro nelle foto, muscoli sempre visibili e abbigliamento sportivo o comunque non troppo ostentato. A meno che non sia un brand conosciuto, in quel caso ho stile e faccio bella figura.
(Questo discorso vale anche per le ragazze lesbiche, i parametri sono sempre quelli).
Tutto questo come lo chiamate?
Io la chiamo omologazione: tendenza a sembrare come gli altri per non sentirsi diversi. Trascurando molte volte quello che si vuole essere veramente. O meglio aver paura di mostrarsi per quello che si è, in questo modo lo si reprime e mi impegnerò a crearmi un'immagine aderente alla società in cui vivo. E appena vedrò che qualcuno riflette quello che io nascondo sarò il primo ad evitarlo, deriderlo, metterlo da parte. A me questo modus operandi ricorda proprio la parola che ho usato all'inizio.
Fine.
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che robe....
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